L’esilio degli animali dai giardini dell’uomo
Treviso – Giornate Internazionali di Studio sul Paesaggio, Relatori della sessione mattutina del 15 Febbraio 2018:
– Monique Mosser , storica dell’Architettura dei Giardini, ricercatrice, professoressa e fondatrice della Scuola Nazionale Superiore di Architettura di Versailles.
– Serge Briffaud, storico del Paesaggio e dell’Ambiente, ricercatore e professore presso l’Ecole Nationale Superieure d’Architecture et de Paysage di Bordeaux.
– Margherita Azzi Visentini, membro del Comitato Nazionale per lo Studio e la Conservazione dei Giardini Storici.
Le rappresentazioni di piante ed animali che ci arrivano sin dall’antichità ci aiutano a dar vita ad una riflessione sulla lunga tradizione dei giardini-microcosmi, i luoghi in cui tutti gli esseri viventi trovano un equilibrio tra il loro spazio e la loro natura. Queste testimonianze di pacifica convivenza tra il regno vegetale, quello animale ed umano arrivano dalla mitologia, passano dalle pareti degli scavi di Pompei ed arrivano fino alle scultoree allegorie d’ispirazione animale nelle reggie barocche di Versailles e Caserta.
Ma non solo pitture e statue, il rapporto era più stretto di quel che si pensa. I romani che potevano permetterselo si circondavano di uccelli perché riempivano di vita e di poesia il giardino: al loro canto era attribuita l’invenzione della musica. Catone addirittura suggeriva di “vivere in campagna per non perdere la meraviglia dei cicli della natura, altrimenti ne avrebbe approfittato solo il fattore”. Nel 1303, il Trattato dell’Agricoltura di Pietro De Crescenzi mostra come gli animali con valenza alimentare o estetica, che prima venivano lasciati liberi, vengono portati all’interno dei cortili degli edifici per proteggerli dai pericoli e trarre beneficio dal loro allevamento. Ci sono persino dipinti che testimoniano come il ghepardo fosse un animale addestrato a cacciare per l’uomo. Si instaura così una vera e propria gerarchia: ci sono gli animali esotici da mostrare al pari di fiori e pietre preziose come dimostrazione di dominio e controllo sul selvatico; ci sono gli animali destinati al lavoro, all’alimentazione ed infine quelli più vicini affettivamente al padrone come i cani ed i cavalli. I cani dividono col padrone le attività all’aperto e spesso persino la camera da letto; per i cavalli, che godono del rispetto del padrone e gli permettono agili spostamenti, vengono costruite scuderie sempre più raffinate. Insieme al padrone queste due specie condividono il momento della caccia, una delle attività più apprezzate e praticate nel Medioevo.
In tutte le corti d’Europa si ammirarono cani, pappagalli e scimmie, animali rari che ispirarono la creazione di serragli e “menagerie”: luoghi dediti all’accoglienza e mantenimento animale che dialogavano (con diversi risultati) con il paesaggio circostante. Il rapporto tra uomo ed animale però, subisce una brusca svolta nel 1673, quando i cervi dei giardini di Chantilly vengono sterminati perché rappresentano una minaccia per il mantenimento degli effetti estetici progettuali: l’animale comincia ad essere esiliato dal paesaggio umano e costretto alla vita selvatica. Fino a quel giorno, proprio Chantilly si era contraddistinta per un attenzione particolare alla componente animale, che veniva considerata una fonte di curiosità scientifiche. La corrispondenza letteraria tra Andre Le Notre ed i protagonisti della gestione del giardino racconta di come gli addetti ai lavori ed il progettista tenessero molto alla salute degli uccelli, monitorassero le covate e proteggessero le specie più deboli, combattendo gatti e lontre, animali territoriali ed invasivi. Manifestando un attenzione al mantenimento della biodiversità del suolo su cui si andava ad intervenire: la scelta delle specie animali era parte integrante del progetto. Il progettista, prima che lo spazio fu visto come luogo dove affermare il dominio antropocentrico, era un uomo virtuoso che usava l’intelletto per ristabilire l’equilibrio ecologico laddove compartimentava lo spazio per altri fini.
Ha quindi radici lontane la nostra tendenza ad allontanare dai giardini la presenza animale o costringerla ad un ruolo di corredo. E’ però la nostra eredità genetica a ricordarci come un ecosistema non può fare a meno di una categoria così influente. Mentre parecchie specie animali rischiano l’estinzione, l’uomo è l’unica specie che troviamo a tutte le latitudini nonostante l’inadeguatezza fisica. Come? Ha modificato a proprio vantaggio le condizioni d’esistenza. Ma siamo sicuri sia effettivamente così? La maggior parte degli animali sono intelligenti, probabilmente anche più degli esseri umani, ma in maniera differente. L’essere umano è l’unico che si autopercepisca e racconti una storia che è frutto di una memoria personale e che poi, in una formazione culturale, diviene collettiva. Essendo capaci di percepire un io e di conseguenza un ego, l’individualismo e l’egocentrismo ci porta a desiderare solo per noi stessi rendendoci ciechi davanti alle attenzioni che il pianeta su cui viviamo ci chiede, essendone noi i custodi.