Garanti del Verde: “Non sulle piante, ma su noi stessi, poniamo l’attenzione”
Il primo lavoro da fare non è sulle piante, ma su noi stessi
Sembrano mesi, eppure non sono passati neanche dieci giorni da quando 184 cittadini si sono riuniti nella mobilitazione spontanea in difesa dei 12 Tigli di Viale Trieste, a Jesi, mossi da una spinta interiore a riflettere, come comunità, sul valore che diamo agli alberi.
Ci siamo dati un nome e uno scopo, quello di essere garanti del verde cittadino, e dopo avere ottenuto un confronto con l’amministrazione comunale e un sopralluogo con l’agronomo Pazzi, che aveva stilato la perizia che giustifica l’abbattimento, ci siamo presi alcuni giorni di silenzio per digerire le informazioni, interiorizzarle e confrontarci internamente.

Ci siamo chiesti che senso abbia ribadire di nuovo che tutti i Tigli – non solo i 12 esaminati da Pazzi! – sono malati a causa di “fattori di competizione intraspecifica” che potevano essere evitati al momento della piantumazione garantendo maggiori distanze tra le piante.
Ci siamo interrogati anche sull’utilità di sottolineare come il passaggio dei sottoservizi (reti idriche, elettriche, telefoniche e di illuminazione) continuamente sottoposti ad ampliamenti e modifiche, è stato responsabile, negli anni, di danni gravissimi agli apparati radicali delle piante.
Del resto siamo talmente d’accordo da darlo per scontato: un albero in città è considerato degno di nota, non in virtù della sua presenza viva, intelligente, collaborativa e generosa ma in funzione di un suo strumentale essere “a servizio” – eh sì, agronomo e tecnici jesini esperti di verde pubblico parlano con nonchalance di alberi come “arredamento” facendosi forti del concetto di “età di servizio” dell’albero, che – lo ricordiamo – in natura non ha propensione a invecchiare e morire ma a crescere e vivere!
Insomma, fino ad ora un albero è stato visto e concepito come un oggetto ad uso e consumo dell’uomo, esattamente come tutto il resto, e fino a qui siamo tutti d’accordo.
Forse però parlare di una responsabilità più recente in relazione ai lavori di tagli e capitozzature effettuate ripetutamente sui Tigli un po’ di senso ce l’ha: in chiusura al testo riportiamo un estratto da “La Timidezza delle Chiome”, in cui Pietro Maroè descrive gli effetti prodotti sulle piante da questi “tagli sconsiderati” e le cui parole prestano il titolo al nostro comunicato.

Ad ogni modo, e a prescindere dalle cause, i Tigli di Viale Trieste sono malati e ne vanno abbattuti 12 esemplari – quelli più gravi o che sono d’intralcio al progetto di RFI – e non c’è alcuna riflessione, non c’è alcun progetto che ne contempli la cura in un’ottica di riqualificazione dell’intero Viale secondo un pensiero organico.
Oggi vogliamo abbattere 12 esemplari: che succederà l’anno prossimo quando gli altri, già malati e compromessi, peggioreranno le loro condizioni?
È sufficiente una prima “valutazione superficiale” con il martello meccanico senza ulteriori accertamenti strumentali o ha ragione il Prof. Taffetani, Ordinario di Botanica sistematica dell’Università Politecnica delle Marche, quando, chiamato ad esprimersi sulla perizia, dice che questo tipo di valutazione è “del tutto inadeguata per la decisione che poi viene prospettata”?

Secondo noi vale la pena una valutazione ulteriore e una riflessione più profonda, che sia aggiornata da una sensibilità nuova, che è già nata e che forse è la diretta e preziosa conseguenza della crisi drammatica che ci stiamo lasciando alle spalle.
Una nuova sensibilità che si autorappresenta come una rete interconnessa in cui ogni elemento, ogni esemplare – a prescindere dalla sua appartenenza al regno umano, vegetale o animale – è prezioso e indispensabile se messo nelle condizioni di fiorire e valorizzato in base alla sua funzione.
La riflessione sulla tutela e sulla cura del mondo vegetale come inestimabile bene comune, apre allora, in questa prospettiva, ad un’altra riflessione che riguarda la comunità e l’autodeterminazione: è possibile pensare ad un progetto di riqualificazione dell’alberata di Viale Trieste condiviso tra cittadini e amministrazione?
Lo strumento legislativo esiste già: nel 2014 per la prima volta in Italia è stato emanato il “Regolamento sulla collaborazione fra cittadini e amministrazione per la cura e la rigenerazione dei beni comuni urbani” che vede nel “patto di collaborazione” la cornice legale che permette alle PA e ai cittadini di definire insieme gli obiettivi e le strategie in relazione alla cura di un bene comune.
I Tigli di Viale Trieste ci offrono, in questo preciso momento storico, l’occasione di metterci in discussione, di abbandonare la logica della protesta per abbracciare un nuovo modo di vivere la cittadinanza e la partecipazione.

Il nostro è un appello pubblico: all’amministrazione, alle istituzioni e a tutti i cittadini: donne, uomini, attivist*, anime che vogliano immaginare nuovi modi di fare ed essere comunità; umani, vegetali, animali, micro-organismi, tutti con lo stesso diritto di cittadinanza attiva!
Perché l’esperienza di Viale Trieste non resti un caso isolato ma diventi un precedente e un modello applicabile a tutte le alberate e gli spazi verdi di tutte le città.
Queste riflessioni sono convogliate in una istanza formale che la settimana prossima presenteremo al Comune di Jesi per richiedere:
– l’annullamento della determinazione n.114 del 01/02/2022 che prevede l’abbattimento dei 12 Tigli e ulteriori accertamenti strumentali;
– la redazione di un progetto di rigenerazione urbana di Viale Trieste partecipato con i cittadini.
Facciamo sentire il nostro essere una moltitudine, sostienici con la tua firma e sottoscrivendo la petizione in queste occasioni:
- mercoledì 16, giovedì 17, venerdì 18 febbraio dalle 16 alle 18 al presidio dei cittadini sotto ai Tigli degli ex giardinetti storici della stazione di Jesi
- mercoledì 16 dalle 10 alle 13 in Piazza Federico II a Jesi in compagnia della musica del Leccio di Piazza Federico II
- sabato 19 dalle 17.00 sotto ai Tigli degli ex giardinetti storici della stazione di Jesi per un momento di incontro e condivisione a sorpresa!!!!
- da mercoledì 16 a sabato 19 la mattina dalle 9 alle 13 e il pomeriggio dalle 17 alle 20 (il sabato pomeriggio dalle 17.30 alle 20.30) presso ORTOLIBRERIA, in via Gramsci 3 a Jesi
Grazie!
GARANTI DEL VERDE JESI

Estratto da “La timidezza delle chiome” di P. Maroè
“Dobbiamo tenere presente che […] ogni anno la pianta fa il suo bilancio preventivo e consuntivo. Per l’albero si tratta di bilanci energetici […]. Se, mediante tagli sconsiderati, viene asportata troppa superficie fotosintetizzante, il bilancio energetico non quadra e la pianta è costretta a correre ai ripari, producendo […] nuovi rami che crescono molto in fretta. […] Nulla di ciò che viene costruito in fretta, soprattutto in natura, dura a lungo. […] La pianta è consapevole che tali rami non sono fatti per diventare parte integrante della chioma, tanto è vero che non sono ben inseriti all’interno dei tessuti. […] Nei casi di potature drastiche […] vanno a costituire la maggior parte della nuova chioma, poiché la pianta non può permettersi di perderla, pur se avventizia, dato che è diventata la sua principale forma di sostentamento. Quindi la mantiene […] e la fa crescere spesso molto più in fretta di quanto non farebbe con la chioma normale. Data la forte necessità di luce, questi rami si sviluppano nella maggior parte dei casi dritti verso l’alto, quasi verticali, destrutturando l’habitus specifico della pianta. […] La conseguenza logica, secondo molti, sarebbe quella di tornare a tagliare la pianta. Tuttavia, facendolo senza un minimo di criterio, la situazione si ripeterà in modo ciclico, con una pianta sempre più stressata. […] In questo quadro emerge un chiaro e unico colpevole: l’uomo, che con le sue attività e l’approccio irrispettoso nei confronti della pianta spesso ne è la principale causa di deperimento. L’insieme dei disturbi che l’uomo provoca, per scarsa conoscenza e poca attenzione, prende il nome da una definizione anglosassone: people pressure disease, che tradotto sarebbe disturbo da pressione antropica.
Insomma, il primo lavoro da fare non è sulle piante, ma su di noi.”